Chi è davvero il mio prossimo?

Chi è davvero il mio prossimo?

17 Dicembre 2019 0 di Timoteo Lauditi

„Ma volendo mostrarsi giusto, l’uomo chiese a Gesù: “Chi è davvero il mio prossimo?”“ – Luca 10:29

Da tempo il clima politico-sociale nelle singole nazioni, a cominciare dagli USA e non per ultima l‘Italia, entrambe con radici cristiane e con la convinzione di esserne forti rappresentanti — ricordiamo p.es. il forte impatto del Natale nella cultura di entrambi i popoli come anche la dicitura a-bocca-larga „in God we trust“ sul dollaro americano — viene invaso e pervaso da slogan che ci catapultano nelle vicinanze di Gerusalemme verso la fine dell’anno 32 EV, al tempo di Gesù, quando i giudei pretendevano di essere osservanti della Legge di Dio e cercavano di ostentarlo in ogni occasione pur contravvenendo allo spirito basilare della Sua Legge: „ama il tuo prossimo come te stesso“.

Allora si costruiscono muri, di pietra, di metallo, di soldati, di leggi di Sicurezza per tenere gli altri lontani da noi; per proteggerci dal prossimo Prossimo che potrebbe invadere la mia confort zone . Si lasciano annegare in mare immigranti su barche sovraffollate, si rimandano malamente indietro coloro che sono stati derubati non solo di tutti i loro averi, ma della loro libertà e della dignità, e sono stati violentati per mesi e per anni dal loro prossimo più prossimo; e questo proprio nell’istante in cui tutte le forze vengono meno, perché quando dopo un lungo ed estenuante viaggio vedi la meta a due passi, vedi l’uscita dal tunnel, e le forze cominciano a lasciarti per la certezza che ci sarà qualcuno che verrà ad accoglierti; e allora puoi permetterti di lasciarti andare.


Dunque, ricatapultati nella Gerusalemme del I secolo e avendo il Maestro davanti a cui possiamo rivolgere una domanda come l’ha fatto l’uomo di Luca 10:25, che era un esperto avvocato, ci potrebbe capitare di chiedergli “chi è davvero il mio prossimo?”. In altre parole “lo so di dover amare il mio prossimo e di dovermi prendere cura dei poveri, degli orfani e delle vedove, degli stranieri e degli ammalati; ma non sono troppi? Sono veramente tutti ‘il mio prossimo’? Anche quelli che vengono dal paese vicino? E quelli dell’altra nazione? Ma non hanno a casa loro dei prossimi più prossimi di me? Io non devo interessarmi prima dei miei? della mia famiglia e dei miei vicini? dei connazionali? Non c’è un limite allo spazio in cui rientra un mio presunto prossimo senza per questo perdere il vestito ‘cristiano’?” Ecco un ragionamento che l’avvocato probabilmente faceva tra sé e sé, e “per mostrarsi giusto” passò la decisione a Gesù, sperando Gesù non fosse tanto ‘cristiano’ quanto sembrasse.

Gesù era un Maestro per davvero e la sua risposta era contenuta nella parabola del Buon Samaritano, dove un giudeo malmenato e lasciato quasi morto per strada, viene aiutato non da un compaesano concittadino e nemmeno da un sacerdote giudeo, ma da uno straniero. Tra compaesani quei giudei non hanno mosso un dito per aiutarsi; Cosa che, tra parentesi, ci riporta al ‘prima gli italiani’ non pretendendo nemmeno per davvero di dargli questo significato quanto invece il ‘prima io’. Chiusa la parentesi.


Gesù raggiunge il massimo dell’insegnamento con una domanda che capovolge la posizione del suo interlocutore e di quelli che tra i presenti la pensavano come lui. E di quelli che oggi la pensano come loro.

Gesù non rimanda la domanda come era partita, ‘allora, chi è davvero il tuo prossimo?’ come se volesse dare da intendere all’avvocato che chi ha bisogno di aiuto si dovesse prima mostrare tale, magari salendo prima la scala sociale, cambiando colore della pelle, cambiando sesso, adattandosi alle abitudini locali, cambiando addirittura religione, meritandosi così di essere chiamato ‘mio prossimo’. No, Gesù responsabilizza ognuno che si ritiene giusto, superiore, privilegiato, intoccabile, con la domanda “Chi di questi tre ti sembra che si sia comportato da prossimo nei confronti dell’uomo che cadde vittima dei briganti?” (v.36). In altre parole, “anziché aspettare che uno ti diventi prossimo, assomigliandosi in tutto e per tutto a te, fai tu il passo, mostra tu di essere prossimo a chi ha bisogno. Condividi con lui ciò che tu hai ricevuto da altri, e anche guadagnato con il mio aiuto. E lascia stare la sua diversità, non ti sia di impedimento nel mostrare la tua nobiltà.”

Gesù raggiunge il massimo dell’insegnamento con una domanda che capovolge la posizione del suo interlocutore e di quelli che tra i presenti la pensavano come lui.
E di quelli che oggi la pensano come loro:

“Chi di questi tre ti sembra che si sia comportato da prossimo”

Il consiglio di Gesù, che per un cristiano è un comando-dovere: “Va’, e anche tu fa’ la stessa cosa!” (v. 37) dovrebbe togliere il vento ai politici fascisti e populisti, ai dittatori, agli sciacalli, agli sfruttatori, ai falsi benefattori; e al popolo che si nasconde dietro una paura inesistente, quella di perdere la propria identità per il prossimo che non conosce. Perché l’identità non ce la creano gli altri, ma le nostre azioni.
Solo che non accadrà. Non ci sarà un cambiamento di massa nel pensiero, altrimenti non saremmo arrivati a queste condizioni mondiali.

L’esperto in legge del vangelo secondo Luca, probabilmente non ce la fece a cambiare la propria veduta; voleva mostrarsi giusto ed era alla ricerca di conferme. Non trovandole, se né andò a legiferare per escludere gli altri dallo stato privilegiato che si era creato e trovò consensi tra il popolo, radicato come era nel nell’orgoglio nazionalistico.
E continuarono a tenere per sé stessi ciò che avevano.
Restando poveri.

Timoteo Lauditi, 17.12.2019
Foto dal web

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