Ritorno a Mosciano

Ritorno a Mosciano

26 Aprile 2003 0 di Timoteo Lauditi

Ritorno a Mosciano

Ruotano lenti i pneumatici sull‘asfalto
che da Mosciano Stazione porta su
per il paese dalla contrada vecchia.
La strada, dolcemente in dislivello,
a mezza via si fa repentinamente
tortuosa e ripida. I tre tornanti
a serpentina risvegliano lo sforzo
muscolare per le pedalate in bici,
di quando, a metà degli anni Settanta,
frequentavo le medie. Era un sollievo
il tratto pianeggiante che seguiva,
e poi l‘arrivo in paese, a Mosciano.

I colli e le valli in scambio tra loro
ridestan ricordi che giacevan in me
da anni lontani, eppur a me vicini.
Un passante spinge carica la bici;
c’è un cane in cortile che abbaia eccitato.
Poche case a rompere valli supine;
ne han costruito nuove, e le vecchie son lì,
con gli alberi e le vigne a far compagnia.

Ora salgo senza fatica, seduto,
agiato nella mia berlina tedesca.
Ad accogliermi in piazza c’è la rotonda,
fedelmente attorniata da auto in sosta,
ma nuove. L’ho salutata in un sussulto
abbracciandola con un giro d‘auto intorno.
Il bar dell‘angolo è ora salumeria,
e mi risuona nella mente “M‘innamorai”
del Giardino dei Semplici, dal juke-box
a cento Lire, in sonno eterno anche queste.
La Farmacia Moretti, sempre lì, ma ormai
curata dai figli – Sergio il mio compagno;
il libraio che vendeva libri di scuola
fa l’assicuratore dopo aver ceduto
il posto a mani garbate, più giovani;
dei poster pubblicizzano consulting
incollati sulla vetrina del coiffeur,
ma c’è aria di deserto. Il fornaio,
dove mi caricavo di maritozzi
freschi per la ricreazione, ancora lì,
con la stessa commessa, un po’ più matura.
E poi la scuola, ormai invasa da uffici
comunali, affianco alla chiesa avvolta
da ponteggi per un rinnovo esteriore.

Vado a prender un caffè, in un bar nuovo.
Pago il conto e saluto questo paese
in cui versai le primavere libere
della mia adolescenza infatuata,
con un sentore di felicità nostalgica.

Timoteo Lauditi, 26 aprile 2003
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